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Target delle azioni degli Uffici di PLUS

La premessa logica è che non esista un target di riferimento delle azioni degli Uffici di PLUS, quanto meno in senso stretto e rigido. Questo perché un ente locale, quindi una pubblica amministrazione non può porre limiti di scelta rispetto ai bisogni della cittadinanza, decidendo quali soggetti tutelare e quanti abbandonare al proprio destino.

Inoltre, l’indirizzo innovativo della riforma sociale, già anticipato nel 1997 dalla legge n. 285 sull’infanzia e l’adolescenza, si basa sul concetto di prevenzione, richiedendo interventi atti a impedire l’insorgenza di un problema socio-sanitario, prima ancora che lo stesso si strutturalizzi. Ciò significa prendersi cura del cittadino prima ancora che il suo caso diventi un problema di emergenza o di emarginazione conclamata per l’intera comunità. Al contempo, siamo consapevoli delle ristrettezze economiche in cui versano i comuni e i distretti, che troppo spesso non sono in condizione di garantire neanche i livelli essenziali dei bisogni.

Occorre, pertanto, suddividere la programmazione in due ambiti di valutazione: una prima analisi completa sullo stato dell’arte, che permetta di conoscere, quanto più dettagliatamente possibile e con indicazioni dinamiche (analisi aggiornate), il quadro dei bisogni, suddivisi per i diversi gruppi bersaglio, con macro aree e sotto aree di riferimento; quindi, il rapporto tra livelli essenziali dei bisogni (indicati nel Piano regionale di indirizzo, oltre che nei documenti nazionali, come il recente Libro Verde del Ministero del welfare) e i servizi promossi sulla base delle risorse, umane, finanziarie e strumentali disponibili. In linea generale ancora oggi costituiscono gruppi target di riferimento: i minori, con particolare riguardo a quelli sotto i 3 anni o agli under 6 anni (infanzia pre-scolare), agli adolescenti (il cui ingresso nell’area del disagio si è abbassato ai 12 anni anche per fenomeni quali l’abuso di alcol e droghe o il bullismo di gruppo) e i giovani adulti, categoria di soggetti compresi tra i 16 e i 28/30 anni.

Gli anziani vengono ancora rappresentati in riferimento agli over 65 o 75 anni, anche se si comincia a diffondere la differenziazione tra terza e quarta età, in rapporto alle condizioni di auto-sufficienza (per cui la terza età dovrebbe ri-entrare nella fascia attiva). I disabili rappresentano una categoria trasversale, che per le classificazioni e le certificazioni fa riferimento alla legge 104/92, al DPCM 14 febbraio 2001, quale atto di indirizzo per le prestazioni socio-sanitarie, nonché al DPCM n. 185 del 2006.

Ricordando che da diversi anni i parametri dell’O.M.S. (Organizzazione Mondiale della Sanità) spingono verso una più corretta valutazione delle abilità residue, in modo da promuovere la piena integrazione del soggetto con disabilità nei percorsi di formazione e nel lavoro, con una visione ancora non completamente recepita nel nostro Paese, occorre segnalare il contributo della Regione Sardegna dimostrato con la promozione della legge regionale 30 maggio 2008, n. 7, che istituisce la Consulta Regionale sulla disabilità, a completamento di un quadro che comprende la legge regionale n. 23 del dicembre 2005 e la delibera n. 9 del settembre 2008 per lo snellimento delle procedure relative alla certificazione della gravità in merito alla legge 104 del 1992. Non bisogna dimenticare altri gruppi bersaglio di particolare rilevanza, in molti casi trasversali ai precedenti, come gli immigrati, i tossicodipendenti e gli alcolisti, i nuclei familiari, i carcerati e gli ex carcerati, le nuove povertà, le donne.

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