In passato l’affidamento delle responsabilità del benessere e della tutela sociale erano in capo esclusivamente allo Stato. La richiesta di redistribuzione delle responsabilità di costruzione delle politiche tra i diversi attori sociali ha, di fatto, sviluppato la convinzione che l’intera società, con diversificate assegnazioni di responsabilità, debba svolgere un ruolo attivo nella produzione delle politiche sociali.
Con la riforma del welfare e, in particolare, con la Legge 328/2000, i luoghi dove si costruiscono le politiche sono diventati i territori e vi è l’obbligo da parte dell’Ente Pubblico di agevolare e di riconoscere l’intervento di tutti coloro che perseguono il medesimo obiettivo, ovvero il benessere degli individui presenti sul territorio.
Questo passaggio da government a governance garantisce meccanismi più trasparenti per la produzione delle politiche, e si esplica attraverso modelli di governo reticolari ed allargati, seguenti logiche collaborative e democratiche.
I processi di partecipazione alla creazione delle politiche sociali hanno assunto la forma più conosciuta dei piani di zona, momenti di programmazione formale ai quali sono chiamati ad intervenire i diversi attori del territorio, tra i quali le organizzazioni del terzo settore, in aggiunta ai cosiddetti enti terzi, ovvero le scuole, le università, il ministero di giustizia e gli altri enti pubblici istituzionali, e alle organizzazioni della chiesa. Tali soggetti sono in grado di stimolare la cittadinanza attiva, favorendo la riduzione delle asimmetrie informative e sono più vicini ai gruppi marginali e meno rappresentati; sono vicini ai bisogni della vita quotidiana, hanno un forte radicamento territoriale ed hanno maggior flessibilità organizzativa. Simili caratteristiche permettono di leggere meglio i bisogni del territorio, di captare le nuove esigenze e di progettare e inventare risposte efficacemente ed efficientemente adeguate, permettendo economie di spesa e riducendo le sovrapposizioni nelle programmazioni.